Pubblicazione: 30/05/2017 Ultimo aggiornamento: 2017-05-30 09:41:22

Giovedì 1 giugno 2017, visita di studio all’Istituto penitenziario di Vibo Valentia.


Nell’ambito delle iniziative didattico-scientifiche  promosse dalla Cattedra di Diritto processuale penale e dalla Cattedra di Diritto penitenziario  dirette dal Prof.  Giuseppe BELLANTONI, Ordinario in questo Ateneo, giovedì 1 giugno 2017, in coordinamento con la magistratura di sorveglianza e le autorità penitenziarie, sarà espletata una visita di studio all’Istituto penitenziario di Vibo Valentia.

L’iniziativa cade in un momento storico particolarmente delicato e cruciale per il sistema carcerario italiano, gravato ed attraversato da rilevanti ed acute problematiche, in specie connesse ad una insostenibile situazione di sovraffollamento (il numero dei detenuti è di circa 54.195 unità, a fronte di una capienza regolamentare di circa 45.000). Con consequenziale restrizione degli spazi assolutamente necessari per una benché pur minima dignità alloggiativa. Non potendosi di contro sottacere come, invece, adeguati edifici carcerari, peraltro in grado di garantire strutture destinate al lavoro, allo studio, allo sport e alle altre attività ricreative, rappresentano quella base necessaria e indispensabile senza la quale non è possibile intraprendere alcun recupero sociale del detenuto (cfr. “Regole minime” per il trattamento dei detenuti adottate dall’ONU il 30 agosto 1955 e il 14 dicembre 1990, nonché “Regole penitenziarie” del Consiglio d’Europa di cui alle Raccomandazioni R (1987) 3 e R (2006) 2). Di guisa che non ci si può assolutamente esimere dal segnalare che la Corte europea dei diritti dell’uomo (caso Torreggiani e altri contro Italia e, già prima, caso Sulejmanovic contro Italia), condannando l’Italia, ha affermato che, se lo Stato non provvede ad assicurare al detenuto la reclusione in uno spazio vitale sufficiente - 7 mq. di spazio in cella singola e 4,5 mq. in cella multipla, con spazio minimo mai comunque inferiore a 3 mq. a persona -, commette una violazione dell’art. 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, il quale perentoriamente stabilisce che nessuno può essere sottoposto «a pene o trattamenti inumani o degradanti». Analogamente, peraltro, a quanto stabilisce l’art. 10, comma 1, del Patto internazionale sui diritti civili e politici, nonché l’art. 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea firmata a Strasburgo il 12 dicembre 2008 e ratificata con legge 2 agosto 2008, n. 130, oltre che l’art. 27, comma 3°, primo inciso, Cost. («le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità»).  Ed è questa la prospettiva in cui si sta finalmente muovendo, da ultimo, e sotto vari e diversificati fronti, il nostro legislatore, essendo peraltro in cantiere la riforma dell’ordinamento penitenziario.
Le attuali problematiche carcerarie nazionali risultano peraltro ulteriormente acuite a causa della pesante carenza degli organici della polizia penitenziaria. E gli scenari di fondo appaiono davvero inquietanti anche a fronte dei numerosi suicidi, non solo di detenuti, ma anche di soggetti della polizia penitenziaria, perpetrati all’interno di strutture carcerarie (39 casi di suicidio e 1011 casi di tentato suicidio nel 2016, giusto per riferirsi all’ultimo anno). 
  
Insomma, è da ritenersi che l’iniziativa didattica qui segnalata, volta a consentire de visu il riscontro concreto dei princìpi normativi in ordine al trattamento rispettivamente riservato ai condannati (in espiazione della pena) e agli imputati (in custodia cautelare) in vinculis, dal momento dell’ingresso nell’Istituto penitenziario, ben possa contribuire ad ampliare il bagaglio culturale degli Studenti, innestando nella loro preparazione di tipo teorico-scientifico anche fondamentali contributi di tipo tecnico-operativo, in vista di un più completo ed approfondito sviluppo professionale. 


 

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